Dal Corriere della sera
di Cinzia Fiori
Data di pubblicazione: 2003
Gli studenti vanno e vengono nei locali della Holden, ignorano Alessandro Baricco. Fondò questa scuola di scrittura nel 1994 e tra poco entrerà in classe per un seminario sul Narratore di Walter Benjamin. «Di che cosa dobbiamo parlare?», chiede nella stanza dei video. Di Castelli di rabbia , signor Baricco, del romanzo con cui lei esordì nel 1991 e vinse con una sola partita, la sua prima, ben due premi: il Selezione Campiello e il Médecis étranger.
E stiamo parlando con un signore che a 44 anni è uno degli scrittori italiani viventi più noti all’estero, dall'America al Giappone, con un signore che in quest'Italia di non lettori riesce a riempire i teatri parlando di libri. Narrando libri.
«Io sono un narratore, ho quel talento lì - dirà a fine intervista -, vedo storie anche in questo tavolo, mi parla. Ho lavorato molto per dire che viviamo in mezzo alle storie e che bisogna raccontarle bene, con rispetto. È un compito civile, come quello del panettiere qua sotto. Io ho bisogno di lui e lui di me. Gli uomini hanno bisogno di storie. Non soltanto per trasmettere sapere. Ogni storia è la custodia della speranza che questa vita non sia l'unica, che se uno volesse potrebbe avere un’esistenza differente».
Ma ora Baricco è seduto dall'altra parte del tavolo, impegnato a ritrovare se stesso ragazzo, a cercare le motivazioni che lo spinsero a scrivere Castelli di rabbia , il libro con cui tutto incominciò: «Avevo in mente un modo di raccontare meno letterario, costruito con un montaggio di derivazione cinematografica. L'idea era che si potesse lavorare con materiali diversi, come la saggistica e la fiction, e che il montaggio li trasformasse in un'unità omogenea. Pensavo anche a un modo di scrivere i dialoghi senza introduzioni. Allora tutte queste cose erano inedite».
«Sicuramente faccio parte di quegli scrittori che cercano di dare alla narrativa una forza musicale. Alla fin fine, quel che consegno al lettore è un'idea di tempo, di pause, di respiri, di velocità. Prima di mettersi a leggere hanno un loro ritmo, un tempo, io glielo prendo e ne impongo un altro. È questo che fa la musica: ti sequestra il tempo e te lo restituisce formato. Le persone respirano davvero in modo diverso quando sentono un disco. Può accadere anche con un libro. Forse i critici non sono molto disposti a entrare nel tempo altrui. È come quando si balla. Se tu non balli a ritmo, i miei romanzi possono sembrare grotteschi. La gente balla, i critici no.».
http://www.oceanomare.com/opere/castellidirabbia/castelli.htm
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